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Nei personaggi, ambienti, paesaggi del romanzo Covili avrà sentito immediatamente un'aria di casa, tanto stimolante da pensare subito a una loro "reinvenzione" figurativa. Così dev'essere stato concepito il "ciclo" tratto da Zebio Còtal.
Non so se Covili, quando si è messo a buttar giù i primi schizzi dedicati a Zebio Còtal, avesse già in mente un progetto complessivo ben definito, che in seguito, preso da lavori più impegnativi e di maggiore rilevanza, sia stato ridimensionato e archiviato nella cartella da cui è partito il mio discorso. Ad ogni modo non si può parlare di frammenti casuali: le 32 opere riposte nella cartella, pur con modalità e tecniche diverse (ma questo si può dire anche per tutti gli altri cicli coviliani), mostrano un percorso coerente, che abbraccia tutto il romanzo.
Credo che la vera conclusione Covili abbia voluto darcela con Un povero non sa mai dove va, la tavola più bella, a mio parere, di tutto il ciclo, presentandoci uno Zebio "totale", che porta sul volto i segni della sua vita violenta e disgraziata, ma ormai trasformati (o sublimati), per una specie di dolorosa catarsi, in rassegnata umanissima malinconia.
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